1992 Critico d’Arte
Sappiamo che nel vitale ritorno alla pittura-pittura delle generazioni di artisti figurali di questi ultimi trent’anni – problematica di una parte significativa dell’arte attuale – “il mondo dell’inconscio” – “l’infinito mondo dei sogni”, avrebbe potuto dire Freud – costituisce una tematica fondamentale. Ovviamente, dietro a questa odierna “esplosione dell’onirico” (dell’irrazionale, dei sentimenti) c’è il cordone ombelicale del patrimonio collettivo del mito come visione del mistero, della dimensione dei simboli, così cara a Jung. Gli antichi e moderni temi di Dio e dell’universo, della vita e della morte, dell’amore e del sesso hanno appunto rappresentato, da sempre, enigmatiche domande-chiave per lo spirito, per l’emotività dell’essere umano. Hanno costituito – mi riferisco soprattutto agli artisti e ai poeti – un insondabile mistero per la loro espressività. Dai primitivi alla mitologia dei Greci e – per rimanere più vicini a noi – dal simbolismo al surrealismo, ad oggi, quel “mondo dell’inconscio” ha continuato infatti a nutrire la fantasia di artisti e poeti. Ho detto tutto ciò perché – lo si può vedere – la pittura di Antonio Granato – una personale “figuralità simbolica” – è stata nutrita, stimolata, nella sua evoluzione, da quella “dimensione del fantastico” affine ai simbolisti e ai surrealisti.
Nato a Candela (Foggia) il 3 settembre 1951, Granato viene portato dai genitori – aveva due mesi – a Milano, dove vive ed opera. Crescerà dunque, artisticamente nella capitale meneghina: uno dei centri internazionali dell’arte.
Dopo aver frequentato il Liceo Artistico di Brera – il suo maestro è stato il compianto pittore Bobo Piccoli – per farsi un solido métier, comincia qui le sue esperienze di ricerche di pittore. La pittura, il disegno e la grafica sono nuclei comunicativi del suo mondo poetico.
Dipinge da più di vent’anni. Mostre personali e collettive, premi e riconoscimenti fanno parte della sua attività, concretizzatasi in opere che si trovano in collezioni private italiane ed estere. E’ chiaro che le immagini di Granato scaturiscono da un solo modo di sentire, d’interpretare e di dipingere la realtà, la metamorfosi ( lui la chiama “anamorfosi”). Una iconografia, la sua che suggerisce quindi i significati invece di “fotografarli”. Un contesto dunque da interpretare attraverso i sentimenti di ogni persona. E’ la dimensione dei simboli, pregnante nella sua semantica, lontana dai “contenuti scontati”.
I suoi dipinti più importanti, più personali, nei quali l’artista riconferma la sua maturità pittorica ed espressiva, sono appunto quelli dove la fantasia di Granato si estende attraverso le rivelazioni metamorfiche, superando così il “descrittivismo”. Appare anche innegabile la sua congenita bravura nel disegno. Basterebbe citarne due dei primi tempi: una immagine di due teste di cavallo e della mano dell’artista, sotto, in primo piano, mentre sta creando tale immagine (biro rossa, 1970) e un’altra – “Sirena in anamorfosi”, china nera, 1974 – fitta di trame segniche, arabeschi, ritmi. Disegno che viene altrettanto esaltato nei suoi lavori di grafica. Come in “Cavallo rampante” (1987) per farne un esempio.
A questo punto bisogna dire che la struttura del disegno è diventata il nervo palpitante della sua genesi iconologica sintetizzata nell’incisività del segno. Attorno e dall’interno di questa struttura lui fa “volare” appunto un “colore onirico”, pieno di velature, di vibrazioni, di battiti magici nelle stesure, una materia sciolta, lieve, pure nella sua ricchezza pigmentale (olio, acrilico, tecniche miste), timbricizzante nelle tonalità. Un alfabeto cromatico dove misteriosi azzurri, verdi, gialli, bruni, nelle loro diverse gradazioni, si trasformano in “anima della luce”. Pregi che, del resto non fanno che confermare la sua professionalità, la maestria che lui ha raggiunto nelle sue opere.
I “Personaggi onirici”, i “Nudi femminili nel paesaggio”, i “Paesaggi e i mari onirici”, le Vegetazioni oniriche”, i “Cavalli onirici” – chiamerei così tutte queste immagini per la loro simbologia visionaria – assieme ai “Ritratti”, costituiscono valori-chiave della sua opera. Granato – che sembra introverso – ha una forte personalità emotiva. La rivela, a livello espressivo, mediante visioni di una suggestiva poesia. Ed è infatti una continuità stilistica di quella tematica – un pattern simbolizzato – il valore che dà ai dipinti una identità linguistica, che li rende personali nella creatività.
Una ricerca espressiva attuale che alterna, nei temi, immagini di una profonda liricità, di un avvolgente mistero, ad altre nelle quali il senso critico (sempre simbolico, mai "illustrativo") verso la società dei mass-media – una società tecnocratica, colpevole del dramma ecologico – scava e mette in rilievo l’angoscia dell’uomo alienato.
Fra diversi dipinti che hanno lo stesso emblematicismo onirico, ricordiamo qui “Due ombre nel verde” e “Amplesso in anamorfosi”, entrambi dell’81, dove la coppia si fonde in un’enigmatica figura-vegatazione-paesaggio, cioè in un processo simbiotico, e “Un Sogno” (1985-86), esaltazione del fantastico, dove il “volto-personaggio”, spersonalizzato nella sua fisionomia, acquista la dimensione-simbolo del dolore umano visto come attraverso un incubo.
L’automa, figlio “naturale” della tecnocrazia, è un altro tema odierno che sta a cuore a Granato. Basta vedere il quadro “L’umanità che avanza verso l’ignoto” (1979) in cui, davanti a una folla che osserva stupita, avanza un “congegno-automa”. Basta guardare lo spettro antropomorfo dell’ “Automa” (1981), simulacrum di un mostro minacciante.
Le diverse “maschere” (o identità-metamorfosi) che utilizza, per salvarsi dall’alienazione, l’uomo d’oggi vengono rivelate dagli emblematici personaggi del dipinto “ I tre fumatori” (1982). Una situazione ambientata in un interno: quattro personaggi, seduti su un divano, immobili nella loro espressione, sembrano avvolti da una indefinibile angoscia.
Meritano anche di essere messi in risalto i “Ritratti” di Granato. Volti e figure essenziali nella loro struttura dove si sente “la mano” di Granato. Personaggi colti nella realtà fisionomica ed espressiva, scavati nella profondità di quel “labirinto psicologico” che ogni essere serba in sé. “Ritratto di mia moglie” (1979), “Ritratto di mia madre” (1980), “Ritratto di mio padre” (1990) e ancora altri parlano di una maestria – nel disegno e nel colore – fattasi sensibilità, vita, creazione.
E’ l’unico modo per essere un artista autentico, personale. Come lo è appunto Granato.