ROBERTO FRATINI SERAFIDE

1999 Regista e critico d’Arte

Così popolata di epifanie floreali, ectoplasmi equestri e quiete interfacce robotiche della realtà, la pittura di Antonio Granato non attiene che in maniera felicemente incongrua ai codici del surrealismo, se per surrealismo si intenda lo stravizio estetico di assemblare i lemmi più immediati in testure iconografiche inaudite e in nuove costellazioni di senso. Sottratto al dominio della metafora, questo universo non si lascia commentare per metafore: perché la natura delle cose non vi viene trasfigurata, ma fluidificata.

Perché, in clamoroso anticipo su ogni vezzo transgenico, vent’anni fa, attraverso queste tele, con la docile connivenza degli inchiostri di china e degli impasti ad olio, la carne regrediva a un suo incanto, vegetativo e vegetale, o progrediva a una perfezione metallurgica, procedendo verso la pace dell’interamente organico, o se esiste differenza, dell’interamente inorganico. Affatturato già allora dalla sottile ipocrisia della materia naturale, legno, pelle, foglia, fumo, metallo, Antonio Granato ne teatralizzava i mille mascheramenti. A rintracciare la driade nascosta in ogni arbusto. O a trasformare in driadi gli arbusti più disabitati. Ramificando l’amore, se possibile.